Io so che è così- 5 ANTONIO

Oggi basta accendere la televisione e le notizie di violenza domestica, stupri, sciagure o donne che vendono il corpo per denaro, donne che pur di essere magre si ammalano o che vengono trovate morte senza un perché; entrano in casa. Invadono la tua vita.

Queste cose nel mio mondo non accadono.  Non avrebbero dovuto invadere la vita di mia figlia. A sessanta anni, dopo essere nato e cresciuto nella stessa casa di campagna, il tuo mondo è costituito principalmente da duecento metri quadri di abitazione, i campi che la circondano e coltivi da quarant’anni, il bar del paese, dove vai a vedere le partite del Milan. Bambino, ragazzo e poi uomo. Ho trovato l’amore a poco più che vent’anni, quando ho conosciuto tua madre. La solidità del matrimonio e la tristezza per i figli che non arrivavano hanno riempito le mura di casa.  La stessa casa, dove sei cresciuta tu e che si è riempita di gioia all’arrivo di quella bambina inaspettata, dopo così tanti anni di speranze perdute. La tua nascita è stata come un nuovo punto di partenza per le nostre vite, ormai arrivate quasi a metà strada. Ci siamo rimessi in gioco per crescerti, con tutto il nostro amore. Abbiamo desiderato figli per anni. Avevamo la sensazione che mancasse qualcosa. Quando tua madre ha scoperto di essere incinta è cambiato tutto. Tu sei diventata la nostra ragione di vita. Abbiamo fatto il possibile per tenerti lontana dalle cose sbagliate del mondo.

Quando la malattia ha portato via la mamma, è tornata la tristezza di un tempo. Sono rimasto da solo a crescerti, ormai eri diventata una ragazzina. Volevo proteggerti dal mondo intero.

Non mi spavento davanti a dieci ore di lavoro nei campi ma davanti alla donna forte che sei diventata, non so cosa fare. Pensare che fino a ieri eri la mia bambina. Hai organizzato il trasferimento a Milano, sei andata a studiare lontano da casa. Ho come la sensazione di averti perso in quel momento. Continuavi a ripetermi che saresti tornata presto e spesso.

Quando sei tornata per le vacanze di Natale. Non sembravi neanche una studentessa. Hai confessato che non hai portato nessun libro, perché non dovevi studiare. Quando frequentavi le superiori, approfittavi delle vacanze per studiare più ore il giorno. Ti ho chiesto, dove hai comprato i vestiti nuovi che indossavi. Mi hai detto che te li aveva prestati la tua coinquilina.

Volevo darti altri soldi. Se non ti servivano subito, li potevi tenere come fondo cassa.   Non avevi  bisogno di altri soldi perché avevi un lavoretto come baby-sitter. Tutte le mattine andavi a casa della famiglia Mantieri.  Vestivi, facevi fare colazione e portavi a scuola Adele e Marco. Poi correvi a lezione.  A volte li seguivi anche durante il pomeriggio, quando i nonni avevano da fare.

È impossibile che potessi vivere in una grande città con i pochi soldi che ti ho dato in questi mesi. Mi hai chiesto solo cinquecento euro al mese. Tutte le altre spese non puoi averle saldate, con solo cinquecento euro.

Con il lavoretto hai potuto comprarti tutti quei vestiti nuovi. Appena ti ho rivista, mi sembravi diversa. Più donna e meno bambina.  Ogni volta che ti telefonavo mentre eri a Milano, sembrava che non avessi nulla da raccontarmi.  Ecco perché, in una di quelle telefonate, non mi hai mai detto del lavoro come baby-sitter. Ora capisco il motivo per il quale me l’hai tenuto nascosto. I dubbi, le domande che ho nella testa da quando sei partita, non mi hanno fatto dormire sereno una sola notte.

Mi hai lasciato qui da solo a coltivare i campi. Ti sei messa d’accordo con tua zia perché mi seguisse e mi facesse compagnia. Mia sorella viene ogni tre o quattro giorni, ma non è come avere una figlia in casa. Arriva, porta il mangiare in contenitori monoporzione, ognuno con l’etichetta con scritto sopra cosa c’è dentro. Mette tutto nel freezer, pulisce i pavimenti, un po’ la cucina e va via portandosi i panni sporchi che mi riporterà lavati.  I miei giorni sono tutti uguali. Mi alzo, preparo il caffè, tiro fuori un contenitore a caso dal freezer e vado a lavoro nei campi o nel capanno degli attrezzi. All’ora di pranzo torno in casa, riscaldo quello che mi ha preparato tua zia, mangio, lavo il piatto, scongelo un altro contenitore e torno a lavoro.  Rientro all’ora di cena e si ripete la stessa scena. Alle otto, mi chiamavi e parlavi a stento. Ti ho sempre sentita distante. Mi dicevi sempre le stesse cose. Che eri andata a lezione e che avevi studiato tutto il giorno. Nient’altro. Non racconti quasi nulla delle ragazze con le quali abiti o dei compagni dell’università. Perché le coinquiline si comportano come te.  Non potevi raccontarmi di loro altrimenti avrei capito. Invece, ho capito lo stesso.

È tutta colpa mia. Senza tua madre, non sono riuscito a crescerti come avrei dovuto. Non dovevo permetterti di trasferirti a Milano. In quella città ha conosciuto una vita diversa. Nessuno cui render conto di quello che facevi, dove passavi la notte. Hai conosciuto uno stile di vita che in un piccolo paese di campagna si vede solo in tv. Non sei mai stata un’amante della discoteca nonostante la riviera romagnola sia a due passi da casa.  A Milano uscivi tutte le sere. Si è così. Locali, cene costose, feste. La coinquilina che ti ha prestato i vestiti è una studentessa di moda. Lo sanno tutti che in quell’ambiente le persone per bene sono poche. Sono tuo padre, pensavi che potessi nascondermi tutto questo senza che me ne accorgessi. Come padre sono un fallimento, lo ammetto. Da quando è morta tua madre, non ti ho seguita molto. D’altronde andavi bene a scuola, ti occupavi della casa, parlavi di matrimonio con Fabio e pensavo che la storia di andare a Milano te la fossi dimenticata. Forse hai avuto una vita troppo noiosa e con il trasferimento hai avuto l’occasione di cambiare tutto e l’hai presa al volo. Non riesco a sopportare che butti via gli insegnamenti che io e tua madre ti abbiamo dato.  In questi mesi che sei stata a Milano, non ho fatto altro che pensare che io non ero con te. Queste sono le conseguenze. Senza di me hai fatto degli errori. Ora hai pagato per i tuoi sbagli. Com’è giusto che sia.

Sei arrivata a casa tardi. Ti ha accompagnato Fabio, non volevo che lui sapesse la verità. Ho sentito l’auto andare via, poco dopo che hai chiuso la porta di casa. Sei entrata in cucina. Ti sei quasi spaventata, quando hai acceso la luce e mi hai visto seduto a tavola.

Mi hai chiesto: “ Babbo cosa ci fai qui al buio? Perché non ti sei cambiato e lavato?”

Come se t’importasse di me. Ti ho detto semplicemente la verità: “ Manuela so cosa fai.” Facevi finta di non capire. Mi hai chiesto tre, forse quattro volte “Cos’è che sai? Cos’è che ho fatto?”. Quando ti ho urlato “Lo so che fai la puttana!” mi hai guardato con gli occhi sbarrati. Ti ripetevo che mi fa schifo avere una figlia come te.  Io non sopporto l’idea che l’unica figlia che ho avuto, così desiderata, faccia l’Escort, come si dice oggi. La parola che usi, non cambia quello che hai fatto.  Vendevi il tuo corpo per pagare i bei vestiti, gli svaghi, il superfluo e racconti bugie a tutti. Mi hai lasciato qui da solo. Pensavi che sarei rimasto ad aspettare il tuo ritorno, una volta ogni due mesi. Ad assistere alla recita della brava ragazza che hai messo in piedi. Non ci dormivo la notte a pensare a quello che facevi.  Le tue giustificazioni sono state talmente banali che non ti ho creduto, neanche per un attimo e non sono servite a salvarti. Ho sentito le parole “ baby- sitter ” passare attraverso la tua gola mentre stringevo forte il collo.  Hai fatto cadere tutto quello che c’era sul piano della cucina mentre ti divincolavi. Mi hai anche colpito su una spalla con il barattolo del sale. La mia Manuela non mi avrebbe mai colpito, ecco come sei diventata. Un’altra persona, che non porta rispetto per chi l’ha messa al mondo e ha cercato di tenerti al riparo dal male. Quando arrivo a casa, devo pulire tutto altrimenti chi la sente tua zia domani. Mi fa male la schiena, forse ho preso uno strappo, anche se non ho avuto difficoltà a caricarti in auto per portarti fino al fiume. Sei sempre stata esile come tua madre. Nelle foto, voi due accanto a me, con il mio corpo robusto e le braccia e gambe ingrossate dal lavoro, sembravate ancora più minute. Anche a peso morto sei leggerissima. Quando ti ho preso in braccio dall’auto per gettarti nel Santerno, ho ripensato a quando ti prendevo in braccio da piccola. Con la piena che c’è stata in questi giorni e la pioggia che continua a scendere, domani mattina sarai quasi arrivata al Reno. Tra due giorni arriverai al mare. L’incubo è finito. Appena arrivo a casa m’infilo a letto a dormire tranquillo. Ora il male del mondo non può più nuocerti. Sei al sicuro figlia mia. Io so che è così.

 

Io so che è così- 5 ANTONIOultima modifica: 2018-08-01T13:02:34+02:00da D8_85
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